Teatri di Pietra: PENTESILEA VS ACHILLE di Francesco Randazzo
Pentesilea vs Achille di Francesco Randazzo è una scrittura originale che spinge a sperimentare nuovi linguaggi. La parola in forma di poesia restituisce immagini e scenari che vanno oltre la scatola teatrale, quasi a suggerire un’opera filmica o da rappresentare in spazi non convenzionali. La sfida, innanzitutto, è questa: restituire la poesia e la magia del testo, senza tradirne la necessità di essere rappresentato. Il testo di Randazzo costringe dunque a trovare un tempo prezioso di ricerca, in cui sviscerare tutte le possibilità di rappresentazione fino a trovarne la sintesi adeguata. Il testo riporta frammenti di mito, frammenti di dramma, frammenti di pensiero; e la frammentazione in sé è argomento che ci interessa. La pretesa è quella di realizzare uno spettacolo montato come si fa con un film, scegliendo le immagini e le inquadrature che più si possano adeguare alla narrazione del sé frammentato di Pentesilea/Achille.
Lo spettacolo vuole essere una sorta di opera visiva e visionaria, dove l’immagine meticolosamente costruita dai corpi degli attori, secondo una partitura che indagherà il mito e il quotidiano, sarà completata da proiezioni di filmati originali, e soprattutto totalmente guidata da una opera musicale originale.
Il lavoro dedicato a Pentesilea vs Achille vuole essere, da un lato, quello spazio creativo e di ricerca di cui ogni compagnia che desideri rinnovare la tradizione ha necessità, dall’altro uno studio della contemporaneità attraverso il “metodo mitico”, suggerito da Eliot, al posto di quello narrativo.
Pentesilea vs Achille parla di disordine, di caos, di mito e di modernità, di smarrimento e di ricerca di un nuovo ordine in cui l’uomo contemporaneo possa ridefinire le proprie funzioni, appropriandosi della sua identità oltre la costrizione culturale.
La figura femminile e il suo ruolo nella storia, nel mito e nel racconto è al centro della piéce.
Solo all’uomo, fino a non molti decenni fa, era riconosciuta la facoltà di compiere la grande impresa, solo a lui era attribuito il Destino alto, quello della scoperta, della fondazione di città, di stirpi. Anche quello di narrare.
Ma la donna si è lentamente evoluta, forse tragicamente persino, e sta, da qualche parte, cambiando la memoria del suo DNA.
La mia eroina pensa come Ulisse, come Enea, come Ettore, ha il loro sguardo, rivolto all’orizzonte, piange sulla riva per l’amore che dovrà sacrificare, per la vita domestica cui dovrà rinunciare, ma certa della forza del suo destino. Lascia tracce, scie, segni che altri potranno raccogliere per custodire il suo seme, per testimoniare il suo passaggio, la sua via di scoperta, di ricerca, di costruzione.
Nella mia carriera di attrice ho spesso e volentieri potuto interpretare ruoli maschili, con semplicità e leggerezza, potendomi così occupare dei loro pensieri, delle loro azioni che, a differenza di quelle femminili, difficilmente sono osteggiati dalla pubblica opinione, e ho potuto sondare come spesso le eroine sono la causa o la soluzione dell’azione dell’uomo, sono la casa, sono il mezzo, sono la chiave, ma non sono il viaggiatore, lo scopritore, l’attore. Qui non si tratta solo di una questione di identità di genere, anzi mi piacerebbe poterla superare, è da sempre il mio desiderio. Si tratta piuttosto di capire quanto e in che modo il genere entra nell’azione, nel pensiero di chi agisce e quindi nella sua sorte. Più semplicemente, mi chiedo: qual è la lotta di Pentesilea? La sua battaglia? La sua vittoria?