Teatri di Pietra: DAPHNE da Ovidio, regia e coreografia di Aurelio Gatti (6 luglio, Arco di Malborghetto)
Il mito di Apollo e Dafne è la storia di un amore mai realizzato, ma anche di un paradosso: proprio il dio protettore delle arti mediche non riesce a trovare un farmaco per la ferita infertagli da Eros; proprio il nume che conosce presente, passato e futuro, lascia che la sua mente onniveggente sia offuscata dalla tenace passione per la bellissima Dafne, figlia del fiume Peneo e di Gea.
Apollo, nel vederla, se ne innamora, ma la fanciulla, nel vedere il dio, fugge ed egli la invoca …
“Ninfa penea, férmati, ti prego: non t’insegue un nemico;
férmati! Così davanti al lupo l’agnella, al leone la cerva,
all’aquila le colombe fuggono in un turbinio d’ali,
così tutte davanti al nemico; ma io t’inseguo per amore!
Ahimè, che tu non cada distesa, che i rovi non ti graffino
le gambe indifese, ch’io non sia causa del tuo male!”
Quando ormai sta per essere ghermita, Dafne, esausta, rivolge una preghiera al padre (o alla madre), affinché la sua forma, causa di tanto tormento, sia tramutata in qualcos’altro. In pochi istanti la giovinetta si irrigidisce, i piedi divengono radici, le braccia rami, il corpo si ricopre di una ruvida scorza: si sta trasformando in un albero di alloro. Apollo la raggiunge, ma è troppo tardi; riesce appena a rubarle un bacio, prima che anche la sua bocca sia ricoperta dalla corteccia.
Questo il mito, narrato da Ovidio nelle Metamorfosi.
Viene naturale prendere le parti di Dafne, che fugge da un accanito e possessivo spasimante, forse intento a soddisfare la sua passione senza tener conto della volontà dell’amata, eppure merita un’attenzione la sofferenza di Apollo, il dolore di chi ama senza essere ricambiato. Il dio potrebbe avere tutte le fanciulle che vuole, ma desidera Dafne, non per un capriccio, ma perché è stato ferito dalla freccia d’amore di Eros… non si sceglie di amare e chi amare.
Perché innamorarsi di una creatura che susciterà di certo dolore e rifiuto? Apollo, che può conoscere il futuro, avrebbe potuto prevedere le tragiche conseguenze della sua passione eppure, insegue Dafne. Egli è il dio dell’ordine e del raziocinio, eppure compie atti irrazionali per amore. La ragione viene sconvolta per colui o colei che si desidera ardentemente. L’amore, suscita un sentimento di totalità e interezza, trasfonde nell’idea di armonia, idealizza la vita futura accanto alla persona amata a tal punto da idealizzare l’altro: il rifiuto è quasi un omicidio; è come se la persona amata, respingendo, uccidesse l’immagine ideale che di lei ci si è costruiti.
Il rifiuto è ingiusto. Saffo, nella celebre ode ad Afrodite, invoca la dea perché ristabilisca gli equilibri e faccia rispettare la legge cosmica dell’amore, secondo la quale chi è amato ha il dovere di ricambiare con altrettanto amore. Il rifiuto costituisce un atto di ingiustizia (adikia).
Nella realtà, però, non c’è alcuna legge che obblighi ad amare.
Se Dafne è una vittima, Apollo non va certo giustificato, ma compatito.
Il grande sgomento è che una corsa straordinaria, rocambolesca, meravigliosa viene interrotta, per sempre. Se non importano le ragioni e i disegni di Apollo, ugualmente vale per quelle del rifiuto di Dafne. La corsa di Dafne si è fermata nella preghiera di metamorfosi, di sottrazione della forma, ma anche di sviluppo e dinamica… e la ninfa che correva ora è solo tronco immobile.
Una danza per un mito che, malgrado gli usi e gli abusi funzionali alle diverse mode o epoche, ripropone, integro e autentico, il mistero dell’eros: due interpreti per Dafne (Carlotta Bruni e Rosa Merlino), un Apollo (il giovane Luca Piomponi)… e poi una corsa infinita.