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Carlo Pellegatti: Bandiere? No Grazie! I grandi ex del calcio allontanati senza scrupoli dalle società

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Carlo Pellegatti, noto giornalista e telecronista sportivo, ha parlato delle bandiere nel calcio e di come la sostenibilità economica e la necessità di bilanci in ordine spesso impediscono che un giocatore possa trascorrere tutta la sua carriera nel club che lo ha visto nascere.Ecco quanto ha dichiarato a Scommesse.io:

Dicesi “bandiera” un drappo di stoffa che simboleggia una Nazione o, più in generale, un’organizzazione. Da questa definizione si può partire per comprendere il significato del termine “bandiera” nel mondo del calcio. Nel corso della storia, molti giocatori sono stati identificati con questo simbolo di alto valore, per il quale si è combattuto e si è persa la vita. Un drappo che racchiude storia, tradizione e senso di appartenenza. Tuttavia, nel calcio moderno, questo concetto sembra appartenere più al passato che al presente.

Maldini, allontanato senza troppi scrupoli

Basti pensare a club come il Milan, che per anni ha avuto Maldini come punto di riferimento sia in campo che in dirigenza, salvo poi allontanarlo senza troppi scrupoli, da una proprietà più attenta ai numeri che alla storia, non riconoscendogli di aver ricostruito e riportato il club al successo. C’è innegabilmente la sua firma sulla vittoria dello scudetto del 2020-21, 11 anni dopo l’ultima gioia rossonera.

Porta chiusa per Del Piero

Oppure alla Juventus, che non ha mai trovato un ruolo per Del Piero, nonostante sia una delle sue icone più grandi e si sia visto chiudere le porte della società dopo l’addio al calcio, in seguito a un rapporto raffreddato dalla gestione Agnelli.

Totti e Baggio e le “divergenze” con il management

Lo stesso destino è toccato a Totti, che, dopo un breve ruolo dirigenziale, ha lasciato la Roma per divergenze con la nuova proprietà americana. E Baggio? Fuori dagli schemi da sempre, si è allontanato volontariamente dal sistema, disilluso dalla gestione del calcio italiano dopo un’esperienza in FIGC.

Il calcio di oggi non riconosce le sue radici

Il calcio di oggi guarda avanti senza più riconoscere le proprie radici. La cruda realtà ci dice che oggi forse non esistono più le vere bandiere, quei giocatori diventati simboli di una squadra e di un’era.

Guardiamo alle rose dei club più importanti per rendercene conto. In Italia, chi può essere definito una bandiera nell’Inter, nel Napoli, nel Milan, nella Juventus o nella Roma? Lautaro, Lukaku, Leao, Locatelli o Pellegrini possono indossare la fascia di capitano, ma non sono paragonabili a Bergomi, Maradona, Baresi, Maldini, Del Piero o Totti, figure leggendarie che hanno scritto la storia dei rispettivi club. Viene spontaneo chiedersi perché le grandi squadre non sventolino più le proprie bandiere come un tempo.

Ancora una volta il Milan rappresenta l’esempio più evidente di questa nuova epoca calcistica. Il blasone e i trofei restano obiettivi affascinanti, ma la sostenibilità economica e la necessità di bilanci in ordine impediscono che un giocatore possa trascorrere tutta la carriera nel club che lo ha visto nascere. Sandro Tonali, innamorato dei colori rossoneri fin da bambino, sembrava destinato a diventare la nuova bandiera. Eppure, di fronte all’offerta monstre del Newcastle, la dirigenza non ha esitato a cederlo, e lui a firmare un contratto faraonico.

Stessa tendenza anche all’estero

Ma il problema non riguarda solo il campo. Anche fuori dal rettangolo di gioco, le bandiere faticano a trovare spazio nei club. E se può consolarci, all’estero la situazione non è diversa: il Real Madrid ha ancora Modric, ma nemmeno lui ha toccato l’alone di leggenda di un Di Stéfano o di un Butragueño. Il Barcellona ha lasciato andare figure storiche come Xavi, tornato solo dopo anni all’estero. In Inghilterra, il Manchester United ha avuto difficoltà a reintegrare simboli come Roy Keane e Ryan Giggs in ruoli dirigenziali. La tendenza è globale: il calcio moderno privilegia la gestione finanziaria alla continuità identitaria.

Un folto gruppo di opinionisti

Così la maggior parte degli ex calciatori si ritrova invece relegata al ruolo di opinionista: più facile, più redditizio e meno complicato rispetto alle dinamiche aziendali di una società di calcio. Difatti la gestione di un club richiede competenze manageriali e strategiche che non tutti i calciatori, per quanto talentuosi in campo, possiedono o vogliono acquisire. Inoltre, le società sportive contemporanee preferiscono affidarsi a dirigenti con una formazione economica e gestionale solida piuttosto che a ex giocatori privi di esperienza manageriale. Ça va sans dire, il ruolo di opinionista offre maggiore visibilità e meno responsabilità.

Qualcuno ce l’ha fatta…

Eppure, c’è chi è riuscito a restare nel mondo del calcio. Buffon è oggi capo delegazione della Nazionale Italiana, Chiellini rappresenta la Juventus all’estero, e De Rossi ha scelto la panchina, tornando da allenatore alla sua Roma. Tre esempi di chi ha saputo costruirsi un percorso per non finire ai margini del sistema.

Rassegniamoci…

Dobbiamo però rassegnarci a questa nuova visione del calcio? Probabilmente sì. Tra le nuove leve, è difficile immaginare giocatori che possano diventare bandiere. Forse Yamal del Barcellona, cresciuto nella cantera blaugrana, potrebbe incarnare questo ruolo, ma solo se qualche ricco club inglese o arabo non decidesse di tentarlo con un’offerta irrinunciabile. Una cerimonia struggente come l’addio di Francesco Totti difficilmente la rivedremo. Il calcio moderno ha scelto una nuova via, ma non è detto che sia la più bella.

Fonte: https://scommesse.io/notizie/editoriale-bandiere-ex-calciatori/