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PREMIO DE SANCTIS PER LA LETTERATURA

NUOVE OPERE A LIVIGNO IN VISTA DELLE OLIMPIADI 2026

PREMIO DE SANCTIS PER LA LETTERATURA

Assegnati a Villa Doria Pamphilj i Premi dell’XI edizione a

Enrico Terrinoni, Emanuele Trevi e Benedetta Craveri

Il Premio “Libro dimenticato da ristampare” è l’opera Idea della Russia di G.A. Borgese

Consegnata la targa della Presidenza della Repubblica a Francesco De Sanctis.

Il Premio 2022 gode dell’adesione del Presidente della Repubblica

Un’iniziativa realizzata in collaborazione con ACI, Terna e L’Igiene Urbana Evolution.

Con il patrocinio di RAI

Si è svolta mercoledì 25 maggio presso la residenza di Stato di Villa Doria Pamphilj la cerimonia di premiazione dell’XI edizione del Premio De Sanctis per la Letteratura, riconoscimento annuale rivolto alle eccellenze della letteratura italiana ed internazionale che si pone l’obiettivo di individuare testi innovativi sia da un punto di vista tecnico che di contenuto. La serata è stata condotta dalla giornalista Ilaria Gaspari.

Erano presenti all’iniziativa, per portare i propri saluti istituzionali, il Presidente della Fondazione, Francesco De Sanctis, il Ministro dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa, il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, il Sottosegretario del Ministero della Cultura Lucia Borgonzoni e il Direttore Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale del MAECI, Pasquale Terracciano.

Il Premio, che quest’anno ha ottenuto l’adesione del Presidente della Repubblica, è stato assegnato da una giuria composta da Giorgio Ficara (Presidente) Nadia Fusini, Elisabetta Rasy, Raffaele Manica, Massimo Onofri, Raffaello Palumbo Mosca e Giacomo Marramao.

Vincitori dell’edizione 2022 sono Enrico Terrinoni, Premio speciale della giuria per Su tutti i vivi e i morti. Joyce a Roma (Feltrinelli, 2022), Emanuele Trevi, Premio per il saggio breve per l’introduzione a Cesare Garboli, Trenta poesie famigliari di Giovanni Pascoli (Quodlibet, 2020) e Benedetta Craveri, Premio per la letteratura per La contessa (Adelphi 2021).

Sul palco, a consegnare le medaglie, c’erano rispettivamente Direttore Generale Educazione, Ricerca e Istituti culturali del Mibact Mario Turetta per Enrico Terrinoni, l’attrice Isabella Ferrari per Emanuele Trevi e l’Ambasciatrice Emanuela D’Alessandro, consigliere diplomatico del Presidente della Repubblica.

Nell’ambito della categoria “Libro dimenticato da ristampare”, la giuria ha decretato vincitrice l’opera Idea della Russia di G.A. Borgese.

In chiusura della cerimonia Maurizio Beretta, responsabile della comunicazione del gruppo UniCredit, ha consegnato personalmente la targa della Presidenza della Repubblica al Dott. Francesco De Sanctis.

Il Premio De Sanctis è stato realizzato in collaborazione con ACI, Terna e L’Igiene Urbana Evolution. L’iniziativa gode del patricinio di RAI.

LE MOTIVAZIONI

Premio speciale della giuria

Enrico Terrinoni, per Su tutti i vivi e i morti. Joyce a Roma (Feltrinelli, 2022)

Raccontandoci con dovizia di particolari e con vividezza straordinaria i sette mesi e sette giorni che James Joyce trascorse a Roma, da quando vi mise piede nel luglio 1906, fino al marzo 1907, nel suo “Su tutti i vivi e i morti: Joyce a Roma”, Feltrinelli, Enrico Terrinoni ci accompagna insieme con James Joyce per le strade e per le piazze di quella che lo scrittore irlandese definisce “la più vecchia e stupida puttana di città” che abbia mai conosciuto, e che risveglia in lui antiche paure. A partire dalle acque minacciose del Tevere. Ma anche riconferma antiche amicizie, come quella per l’eretico e visionario Giordano Bruno. In realtà, più che un saggio, il libro di Terrinoni è un romanzo che svela momenti e motivi fondamentali per comprendere il segreto della vita e dell’opera di Joyce.

Premio per il saggio breve

Emanuele Trevi, per l’introduzione a Cesare Garboli, Trenta poesie famigliari di Giovanni Pascoli (Quodlibet, 2020)

«La differenza tra un personaggio “vero” e uno “inventato” – scrive Emanuele Trevi nel saggio introduttivo a Trenta poesie famigliari di Giovanni Pascoli di Cesare Garboli che qui si premia – è una pura petizione di principio, al limite un principio merceologico di relazioni con un autentico processo di scrittura, che è sempre un’invenzione del vero o una verità inventata». A questa «invenzione del vero», a questa “scrittura” (qualcosa simile e tuttavia non esattamente coincidente con le écriture di cui ha parlato Roland Barthes) che dal vero parte per sempre reinventarlo e reinterpretarlo è votata l’opera tutta di Trevi – da Senza verso. Un’estate a roma fino al recente, e vincitore del Premio Strega, Due vite; senza dimenticare, naturalmente, l’intensissima attività, per usare le parole di Garboli, «servile», che è in realtà una compatta indagine critica e saggistica su diversi autori dell’Ottocento e del Novecento: da Collodi e Leopardi fino a Cecchi, Berto e autori stranieri come John Fante e Hervè Guibert.
Un’opera, quella di Trevi, sempre sulla soglia, sempre felicemente oscillante tra fedeltà alle fonti – e alle persone – reali e loro trasfigurazione narrativa. O ancora meglio: un’opera capace di rendere immediatamente cognitivo il racconto e, specularmente, narrativo il commento, in una inesausta interrogazione – esattamente come il Garboli qui raccontato – di quel «mortale groviglio di pulsioni e fallimenti» che è l’umano.
Dotato di una voce propria e potente ma insieme affine e consonante al suo oggetto di studio, capace di integrare senza sforzo apparente dettaglio erudito e aneddoto personale, esegesi puntuale e visione d’insieme, Trevi dà qui un perfetto esempio di saggismo insieme personale e puntuale, riuscendo, in poche eppure dense e lucidissime pagine, a restituire e rivelare tutta la vitalità non solo di quel «testo bizzarro» – eppure cruciale – che è Trenta poesie famigliari di Giovanni Pascoli di Cesare Garboli, ma del metodo – anch’esso bizzarro e felicemente inattuale e antiaccademico – che ne sta al cuore.

Premio per la letteratura

Benedetta Craveri, per La contessa (Adelphi 2021)

Nel giugno 1901, circa due anni dopo la sua morte, una imponente vendita presso Drouot a Parigi mise all’asta ciò che restava di una delle più celebri figlie del secolo che si era appena concluso, Virginia Verasis, nata Oldoini, più nota come la Contessa di Castiglione. Una scia di gioielli, suppellettili e soprattutto documenti segreti e lettere che si dispersero in varie direzioni. Ma la dispersione, anziché cancellare, rese ancora più misteriosa e affascinante la leggenda di questa strana e bellissima creatura, nata a Firenze nel 1837 da una famiglia di nobile lignaggio e incerte fortune da cui presto si sarebbe allontanata sposando, a sedici anni, l’uomo che le avrebbe dato titolo e cognome, rapidamente poi da lui separandosi per affrontare una vita spregiudicata, avventurosa e straordinariamente originale. Leggenda che del resto la stessa Virginia aveva cesellato giorno dopo giorno, con una costruzione della propria immagine che non ha nulla da invidiare alle campagne autopromozionali dello star system contemporaneo. Ma chi era veramente, dietro la leggenda, la Castiglione, che fin dai libri di scuola sappiamo inviata da Vittorio Emanuele II e Camillo di Cavour in Francia a sedurre l’imperatore Napoleone III per coinvolgerlo, come poi fu, nella seconda guerra d’indipendenza italiana?

La enigmatica, violenta, provocatoria personalità di Virginia è raccontata fuori dalla leggenda, con estremo rigore storico ma con straordinaria verve narrativa, nel denso volume che le ha dedicato Benedetta Craveri, “ La Contessa”, un vero e proprio affresco letterario di oltre quattrocento pagine nelle quali la studiosa intreccia una accurata ricostruzione dell’ambiente storico in cui Virginia visse con un imponente corpus di documenti . Craveri non inventa o ipotizza nulla, anzi: il libro è frutto di anni di indagini negli archivi italiani e francesi alla ricerca di documenti sconosciuti e inediti, ed è centrato soprattutto sul lungo carteggio (le lettere di lei) con il più intimo, il più affine dei suoi tanti amanti, il principe Giuseppe Poniatowski. Con lo straordinario effetto che la verità storica si avvale di una sorta di presa diretta, e si dispone magistralmente sulle pagine del volume come un’avvincente sequenza romanzesca.

Non è certo la prima volta che questa nostra autrice si dedica alla ricostruzione di figure centrali della storia e della cultura passata, indagandone con estrema perizia disciplinare e altrettanta sensibilità narrativa vita, azione e pensiero per versanti meno conosciuti o ignorati da precedenti ricostruzioni, basti pensare ai volumi dedicati a “Madame du Deffand e il suo mondo”, oppure a “La civiltà della conversazione”, oppure a “Gli ultimi libertini”, tutti raccontati in uno stile che sa coniugare l’esattezza della verità con le arabescate figure del destino.

In “La Contessa”, Benedetta Craveri si guarda bene dal fare di Virginia di Castiglione, come vorrebbe una attuale moda deteriore, una femminista ante litteram, ma il suo libro è anche uno studio di un carattere di donna in guerra con i codici morali e sociali del suo tempo, nello specchio delle difficoltà e disavventure personali e pubbliche che questo comportava. Ispirata dalla grande prosa dei memorialisti francesi cui ha dedicato tanto studio, la saggista sa mettere in scena la leggendaria contessa in un drammatico chiaroscuro, che potrebbe avere come didascalia :“La cosa che più mi dà gioia al mondo è la mia posizione libera”.

Ma non solo. Esperta conoscitrice tanto del mondo italiano quanto di quello francese dell’epoca in esame, nel suo libro, mentre disegna alla perfezione la fisionomia di una donna insopportabile e irresistibile, Benedetta Craveri grazie ad accurati ritratti di tutte le figure che la circondano traccia anche l’affresco appassionante di un Risorgimento privato e turbolento, diviso tra un passato vacillante e un nebuloso futuro, tra disinvolta impudicizia personale e regole pubbliche che la lima del tempo scheggiava inesorabilmente.

Premio “Libro dimenticato da ristampare”

Idea della Russia di G.A. Borgese

“Idea della Russia” appare nel 1951 in pieno clima di Guerra fredda. Libro passato quasi inosservato -su Borgese, esule in America già dall’inizio degli anni ’30 gravava la scomunica di tutta la cultura italiana-, eppure originalissimo tanto nei contenuti che -soprattutto- nella forma (al punto da sembrare scritto da un Elias Canetti italiano), Idea della Russia è incardinato sul conflitto tra capitalismo e comunismo, letto però in relazione all’arcaico e perdurante scontro tra principio greco di libertà e principio persiano d’autorità. Un libro che coltiva, al pari di quelli di certi intellettuali della diaspora americana come Leo Strauss, un suo consapevole e polemico anacronismo: se Strauss passava al vaglio di Platone (e di Hobbes) il totalitarismo contemporaneo per condannarlo, Borgese osava leggere lo scontro tra Occidente e Oriente sulla scorta di parametri attinti addirittura a Eschilo, Erodoto ed Aristotele. Scriveva Borgese: «Il comunismo classico e il capitalismo classico sono romantici entrambi: cioè sorpassati. La Russia, in verità, è qualcosa di più profondo che il marxismo. Ma anche l’Occidente è luogo molto più grande di Manchester». Seppure scritto più di settant’anni fa, queste pagine, alla luce dei drammatici eventi recenti, pare pensato oggi come contributo capace di comprendere in profondità uno scontro di valori e civiltà che, ormai, dura da secoli. Per tali ragioni Idea della Russia vince il Premio De Sanctis dedicato al libro dimenticato da ristampare.

Fondazione De Sanctis
Palazzo Cenci

elisabetta castiglioni